Ritratto approssimativo di un comune agro-nichilista

> Il nome “agro-nichilismo” è nato come uno scherzo tra amici mentre stavamo iniziando a organizzare la nostra vita sul territorio. Alcuni di noi hanno iniziato a usare il termine “nichilismo” per segnalare che stavamo uscendo dalla nostra dipendenza dall’economia libidinale urbana: dalla vita boema, l’estetica postindustriale, e tutte quelle produzioni “radicale”, “underground” o “avant-grade” che le città considerate “creative” secretano. Abbiamo passato quell’estate a scherzarci su e “Nessuno ha detto che l’agro-nichilismo sarebbe stato facile!” è diventata la risposta standard ogni volta che uno di noi aveva qualcosa di cui lamentarsi. Ma dopo un po’, quelli di noi che sono rimasti a vivere sulla terra hanno deciso utilizzare questa identità, o lasciarla attaccarsi a noi, perché abbiamo visto che, a parte il suo potenziale comico, può anche disturbare leggermente; e ci piace la commedia inquietante.

> Nella mia – ristretta – esperienza, il nichilismo contemporaneo occidentale, che rimane un affare fermamente urbano, è spesso individualista, militarista, macho e arrogante, insomma, dipendente di una economia fallica. Diventa quindi facilmente un dogma ultraortodosso che rifiuta ogni altro tipo di esperimento politico come “troppo civile”. Ho pensato che fosse divertente pervertire la serietà e il esagerato senso della propria importanza di questo “nichilismo” ultra-urbano e di utilizzare suo nome per indicare qualcosa di autoironico e ambivalente, giocoso e socievole, qualcosa di adatto ai nostri progetti attuali. Il mio depravato nichilismo scapa dal carcerario Luna Park della città per inventare giochi sull’autonomia nella campagna. Quindi, eccolo: “agro-nichilismo”.

> Un filosofo di nome Zizek ha sostenuto che una crepa nella realtà dominante occorre quando, in una situazione in cui è costrett@ a scegliere, il soggetto non va per nessuna delle scelte disponibili ma per qualcos’altro, per una scelta che inizialmente sembra impossibile. Questa “scelta impossibile” cambia le coordinate della situazione, il quadro dell’immaginabile. Zizek illustra questa “scelta impossibile” con una scena del film degli anni ’90 “I soliti sospetti”, il momento scioccante in cui Kayser Soze, ricattato dai nemici che tengono la sua famiglia sotto tiro, spara alla sua stessa famiglia; e poi dedica la sua vita a inseguire i suoi nemici ed eliminarli tutti. L’idea sarebbe che, staccandosi dall’oggetto prezioso usato dal nemico per bloccarlo, la persona guadagna lo spazio per agire. La mia “scelta impossibile” agro-nichilista non è per niente drammatica come quella di Soze, ma consiste nel liberarmi dallo Spettacolo, con cui intendo la rete degli apparati che, nell’ordine borghese, producono godimento e identità.

> Lo Spettacolo modella e controlla il modo in cui si percepisce, si sente e si gode; ci insegna come essere desiderabil@ e come desiderare. All’interno dello Spettacolo, le passioni delle persone sono suscitate da cose lontane, cose intraviste da schermi o carta stampata, da poltrone e divani, in salotti, teatri e anfiteatri, in gallerie d’arte e musei. Le lotte politiche in parlamento, le operazioni di governi e corporazioni, elezioni, conflitti lontani, arte, moda e intrattenimento, sono tutte produzioni spettacolari. La passione per le cose così distante dalle proprie pratiche quotidiane da diventare astrazioni; il dovere ossessivo di tenersi “informati” e di “partecipare” senza partecipare realmente a nessuno dei processi che plasmano la propria realtà immediata; la mancanza di controllo sulla produzione degli elementi fondamentali della propria vita (cibo, energia, riparo, ecosistema, convivialità, immaginazione, desiderio, divertimento, godimento …) sono, nel capitalismo liberale, i tratti principali del “cittadino istruito”. In altre parole, il perfetto cittadino liberale è quello che è sempre “informato su ciò che accade nel mondo” mentre essendo privo di ogni autonomia in ciò che concerne le proprie pratiche di vita, una sorta di chien savant che indovina numeri nell’arena circense dello Spettacolo.

> Poiché, tra le altre cose, liberarmi dallo Spettacolo significa uscire dall’economia urbana, significa anche rinunciare al dovere (estatico) di salvare li oppressi e di migliorare la “società” o il mondo. Lo scenario attivista tradizionale è che il nemico – lo Stato, il capitalismo, l’imperialismo, le corporazioni, le élite, ecc. – tiene in pugno la “società”, lì “oppressi” e il “futuro”; in più, questo prigioniero soffre della sindrome di Stoccolma. La missione eroica dell’attivista è salvare l’ostaggio sia dalla sua prigionia sia dalla sua infatuazione per il suo “rapitore” e cosi inviare, automaticamente, questi soggetti sulla via della libertà, rivoluzione, realizzazione personale o collettiva ecc. Se creiamo le nostre tattiche e pratiche all’interno di questa sceneggiatura, allo stesso tempo soffocante e adolescenziale, non c’è da stupirsi che finiamo per ubriacarci del cocktail di auto-importanza, rigidità, amarezza, risentimento, stanchezza, fatalismo, noia, ecc. che l@ attivist@ chiamano “burn-out”.

> Rinunciare all’oggetto prezioso (“società, mondo, oppressi”, ecc.) significa liberarmi dal dovere di compiere azioni “utili”, “rilevanti” e “vittoriose” e anche dal senso di colpa e noia associati a tal dovere. Questo mi ha dato un po’ di spazio per respirare aria fresca, ha creato un’apertura nella mia realtà attraverso la quale, finalmente, si potevano intravedere alcuni effervescenti esperimenti di “essere altrimenti”.

> La “società” NON dovrebbe essere protetta. Non può nemmeno essere migliorata, poiché non è altro che il nome dato dagli esperti liberali alla complessa concatenazione di Stati-nazione, discipline e tecnologie di governo “moderne”, rapporti di potere imperiali e moralità e desideri borghesi. Cosi, se un@ si oppone al capitalismo, all’imperialismo, al regime borghese o come si vuole chiamarlo, deve per forza essere “antisociale”.

> Come agro-nichilista, accetto che le mie azioni potrebbero o no distruggere il regime borghese o bloccarne il corso verso il perfezionamento della docilità di massa, dell’ambiente del “campo di concentramento cordiale” e della crudeltà come “normalità”. Tuttavia, il mio agro-nichilismo rimane profondamente antagonista alla realtà dominante perché intendo ottenere il mio godimento da forme di vita e da pratiche che sono tossiche per essa.

> Il mio agro-nichilismo si lascia alle spalle i confini atrofizzanti della realtà del consenso, cioè il dovere di consultarsi con i membri più conservatori della società per non mettere a rischio il loro stile di vita o minacciare l’ordine attuale delle cose (che in realtà è la stessa cosa ) [1].

> Come agro-nichilista so che non c’è “scoperta definitiva”, “verità”, “autenticità”, “fioritura” o “risoluzione” quando si tratta del “io”. Il sé autonomo, unitario, coerente e immutabile è una fantasia moderna; quello che chiamiamo il “sé” è in realtà un movimento costante e spesso ossessivo tra nodi di ansia ed estasi che comprendiamo solo vagamente. L’agro-nichilismo cerca di navigare in quest’ arcipelago nodale senza sprofondare nella fossa del trauma o rimanere bloccato nei vortici libidici ereditati dai nostri genitori ed educatori.

> L’agro-nichilismo esce dall’economia di rilevanza e visibilità del capitalismo contemporaneo. Se nulla di ciò che facciamo può essere utilizzato per rendere la società borghese un posto migliore; per essere esibito sugli schermi dello Spettacolo; o per trasformarci in “persone migliori” secondo i codici di valore borghesi, beh, allora il nostro agro-nichilismo può essere considerato un successo.

> Come agro-nichilista mantengo il classico disprezzo nichilista per eroi, mentori, mecenati, leader, istituzioni, codici morali, democrazia rappresentativa e l’ordine sociale; E mi angoscio ogni volta che mi trovo di fronte alle produzioni dei dispositivi autorevoli per la creazione della conoscenza e della verità; e, naturalmente, rifiuto tutte le grandi narrazioni politiche, le tradizionali relazioni di potere e le identità “naturali” o “autoevidenti”. Forse l’agro-anomismo sarebbe stato un termine più appropriato, poiché ciò che contesto è il nomos stesso; ma è meno divertente. E in realtà, a chi importa dell’appropriatezza?

> Lo so, tutto questo è più facile a dirsi che a farsi; ma nessuno ha detto che l’agro-nichilismo sarebbe stato facile …

 

[1] Per la discussione sulla realtà del consenso che ha ispirato questa posizione, compresi i dilemmi relativi alla critica del “consenso” mentre il consenso costituisce ancora un pilastro politico delle nostre lotte anti-patriarcali, vedi “Terror Incognita” di Crimethinc)